agalula + andrea ceccon

GALATEO!

AgalulaCeccon

(da Giovanni della Casa, Galateo, overo de’ costumi, 1553)

Andrea Ceccon, voce

Claudio Lugo, sax

Giacomo Agazzini, violino

Andrea Lanza, chitarra elettrica/live electronics

«E come questi e simili modi noiano quei sensi a’ quali appartengono, così il dirugginare i denti, il sufolare, lo stridere e lo stropicciar pietre aspre et il fregar ferro spiace agli orecchi, e deesene l’uomo astenere più che può. E non sol questo; ma deesi l’uomo guardare di cantare, specialmente solo, se egli ha la voce discordata e difforme []»

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I) “Sia cosa che tu incominci”
Sia cosa che tu incominci pur ora quel viaggio. Ho proposto meco medesimo di venirti mostrando quando un luogo e quando altro, dove io temo che tu, caminando per essa, possi o cadere, o come che sia, errare: acciò che tu possi tenere la diritta via con la salute dell’anima tua e con laude et onore della tua onorevole e nobile famiglia.
II) “Le cose laide , fetide , schife”
Non sono da fare in presenza degli uomini le cose laide o fetide o schife o stomachevoli, ma il nominarle anco si disdice; E perciò sconcio costume è quello di alcuni che in palese si pongono le mani in qual parte del corpo vien lor voglia. E’ disdicevol costume il porgere altrui a fiutare alcuna cosa puzzolente, come alcuni soglion fare, pure accostandocela al naso. E come questi e simili modi noiano il dirugginare i denti, il sufolare, lo stridere e lo stropicciar pietre aspre et il fregar ferro spiace agli orecchi, e dèesene l’uomo astenere più che può.
III) “Deesi l’uomo guardare di cantare”
La dea Pallade si dilettò un tempo di sonare la cornamusa, et era di ciò solenne maestra. Avenne che, sonando ella un giorno a suo diletto sopra una fonte, si specchiò nell’acqua e, avedutasi de’ sconcezze che sonando le conveniva fare col viso, se ne vergognò e gittò via quella cornamusa; e nel vero fece bene, perciò che non è stormento da femine, anzi disconviene parimente a’ maschi, se non fossero cotali uomini di vile conditione che ‘l fanno a prezzo e per arte.E non sol questo; ma dèesi l’uomo guardare di cantare, specialmente solo, se egli ha la voce discordata e difforme; dalla qual cosa pochi sono che si riguardino, anzi, pare che chi meno è adatto più spesso il faccia.
IV) “Dèe l’uomo costumato astenersi dallo sbadigliare”
Sono ancora di quelli che, tossendo e starnutendo spruzzano nel viso a’ circonstanti; e truovasi anco tale che, sbadigliando, urla o ragghia come asino; e con la bocca tuttavia aperta vuol pur dire e seguitare suo ragionamento e manda fuori quella voce che fa il mutolo quando si sforza di favellare. Dèe l’uomo costumato astenersi dallo sbadigliare anche perchè, se sbadiglia colà dove siano persone oziose e sanza pensiero, tutti gli altri risbadigliano incontinente, quasi che lui abbia loro riportato a memoria quello che arebbono fatto prima, se se ne fossino ricordati.
V) “Lo invitare a bere non si dèe fare”
Lo invitare a bere è verso di sé biasimevole e nelle nostre contrade non è ancora venuto in uso, sì che non si dèe fare; e, se altri invitarà te, potrai agevolmente non accettar lo ‘nvito e dire che tu ti arrendi per vinto, ringratiandolo, o pure assaggiando il vino per cortesia, sanza altramente bere. Quantunque questo “brindisi” sia antica usanza nelle parti di Grecia, e come essi lodino molto un buon uomo di quel tempo che ebbe nome Socrate. Egli durò a bere tutta una notte quanto la fu lunga a gara con un altro buon uomo che si faceva chiamare Aristofane, e la mattina seguente in su l’alba fece una sottil misura per geometria, che nulla errò, sì che ben mostrava che ‘l vino non gli avea fatto noia.
VI) “Vile materia come i sogni sono”
Male fanno ancora quelli che si pongono a recitare i sogni loro con tanta affettione e facendone sì gran maraviglia che è un isfinimento di cuore a sentirli .  Non si dèe adunque noiare altri con sì vile materia come i sogni sono, spetialmente sciocchi, come l’uomo fa generalmente. E come gli antichi savi lasciarono ne’ loro libri più e più sogni scritti con alto intendimento , non perciò conviene a noi idioti di fare ciò ne’ ragionamenti
“Le parole vogliono esser chiare”
Le parole, sì nel favellare disteso come negli altri ragionamenti, vogliono esser chiare, sì che ciascuno della brigata le possa agevolmente intendere, et oltre a ciò belle in quanto al suono et in quanto al significato . Ma sappi che che tu troverai di molti che mentono, a niun cattivo fine né tirando di proprio loro utile, né di danno o di vergogna altrui, ma perchè la bugia per sé piace loro, come chi bee non per sete, ma per gola del vino..
VII) “Sono molti che non sanno”
Sono molti che non sanno fermare il dire, e, come nave spinta dalla prima fuga per calar vela non s’arresta, così costoro trasportati da un certo impeto scorrono e, mancata la materia del loro ragionamento, non finiscono per ciò, anzi, o ridicono le cose già dette, o favellano a vòto. Sicuramente questi fanno venir voglia altrui di azzuffarsi con essi loro, perciò che, se tu guardi bene, niuna cosa muove l’uomo più tosto ad ira, che quando improviso gli è guasto la sua voglia et il suo piacere, sebben minimo: nel favellare si dèe più tosto agevolare il desiderio altrui che impedirlo.
VIII) “Sarebbon per natura salvatichi”
Come tu puoi vedere che i cavalli fanno, che molte volte -anzi sempre- sarebbon per natura salvatichi,  il loro maestro gli rende mansueti et oltre a ciò quasi dotti e costumati, chè molti ne andrebbono con duro trotto, et egli insegna loro di andare con soave passo, e di stare e di correre e di girare e di saltare. Ora, il cavallo, il cane, gli uccelli e molti altri animali ancora più fieri di questi si sottomettono alla altrui ragione et ubidisconla et imparano quello che la loro natura non sapea, anzi ripugnava. Orbene quanto si dèe credere che noi diverremmo migliori per gli ammaestramenti della nostra ragione medesima, se noi le dessimo orecchie?
IX) FINALE
E se bene altre nationi et altri secoli ebbero in ciò altri costumi, noi abbiamo pur questi, e non ci ha luogo il disputare quale delle due usanze sia migliore, ma convienci ubidire non alla buona, ma alla moderna usanza, sì come noi siamo ubidienti alle leggi anche meno che buone quantunque il Comune o chi ha podestà di farlo non le abbia cambiate.

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